San Francesco, Ammonizioni, 3

San Francesco (particolare dell'affresco, XIII secolo prima metà.
Subiaco, Sacro Speco)

L'Ammonizione III tratta il tema della 'perfetta obbedienza' del frate ai suoi superiori. Il buon frate deve affidare al suo superiore la propria volontà e il proprio corpo, obbedendo in tutto a lui, tranne nel caso in cui quest'ultimo gli comandi cosa contraria al bene della sua anima. In questo caso tuttavia, pur non obbedendo, non dovrà separarsi da lui. Se invece il frate pensasse di fare qualcosa di più utile per la sua anima rispetto a quanto gli aveva comandato il superiore, lo metta da parte e lo sacrifichi per amore di Dio. Ci sono infatti troppi religiosi che, con il pretesto di fare qualcosa di meglio, non obbediscono ai propri superiori e ritornano al vomito della propria volontà.
L'insegnamento di Francesco è infatti quello di diffidare di se stessi: l'uomo, per natura, è incline a soddisfare i suoi bisogni per una innata tendenza egoistica; il rimedio perciò è sempre affidarsi al consiglio dei superiori e dei fratelli, di chi ci sta vicino insomma, per evitare così di cedere al proprio ego.
Il testo di riferimento è quello dell'edizione critica di K. Esser OFM, Gli scritti di S. Francesco d'Assisi, Padova, Edizioni Messaggero 1995 (il testo della III Ammonizione si trova alle pp. 125-26 e 138-39).



[Cap. III: De perfecta obedientia]
1. Dicit Dominus in Evangelio: Qui non renuntiaverit omnibus, quae possidet, non potest meus esse discipulus (Lc 14,33); 2. et: Qui voluerit animam suam salvam facere perdet illam (Lc 9,24). 3. Ille homo relinquit omnia, quae possidet, et perdit corpus suum, qui se ipsum totum praebet ad obedientiam in manibus sui praelati. 4. Et quidquid facit et dicit, quod ipse sciat, quod non sit contra voluntatem eius, dum bonum sit quod facit, vera obedientia est. 5. Et si quando subditus videat meliora et utiliora animae suae quam ea, quae sibi praelatus praecipiat, sua voluntarie Deo sacrificet; quae autem sunt praelati, opere studeat adimplere. 6. Nam haec est caritativa obedientia (cfr. 1 Petr 1,22), quia Deo et proximo satisfacit. 
7. Si vero praelatus aliquid contra animam suam praecipiat, licet ei non obediat, tamen ipsum non dimittat. 8. Et si ab aliquibus persecutionem inde sustinuerit, magis eos diligat propter Deum. 9. Nam qui prius persecutionem sustinet, quam velit a suis fratribus separari, vere permanet in perfecta obedientia, quia ponit animam suam (cfr. Joa 15,13) pro fratribus suis. 10. Sunt enim multi religiosi, qui sub specie meliora videndi quam quae sui praelati praecipiunt, retro aspiciunt (cfr. Lc 9,62) et ad vomitum propriae voluntatis redeunt (cfr. Prov 26,11; 2 Petr 2,22); 11. hi homicidae sunt et propter mala sua exempla multas animas perdere faciunt.

[Della perfetta obbedienza]
1. Dice il Signore nel Vangelo: Chi non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo; 2. e: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà. 3. Abbandona ogni cosa che possiede e perde il proprio corpo colui che offre totalmente se stesso all'obbedienza nelle mani del suo superiore. 4. E tutto ciò che fa e che dice, convinto che sia bene e che non vada contro la volontà del superiore, è vera obbedienza. 5. E se talvolta il sottoposto veda qualcosa di meglio e di più utile per la propria anima di quanto gli ordina il superiore, volontariamente lo sacrifichi a Dio, procurando di eseguire le direttive del superiore. 6. Infatti questa è l'obbedienza caritativa, perché piace a Dio e al prossimo. 7. Se però il superiore gli comanda qualcosa contraria all'anima del sottoposto, sia permesso a lui non obbedire, tuttavia non si separi da lui. 8. E se perciò subisse una persecuzione da parte di qualcuno, li ami di più per l'amore di Dio. 9. Infatti, chi preferisce patire persecuzione piuttosto che essere separato dai propri fratelli, rimane sicuramente nella perfetta obbedienza, perché sacrifica la sua vita per i suoi fratelli. 10. Ci sono infatti molti religiosi che, sotto il pretesto di vedere cose migliori di quelle che comandano i superiori, si voltano a guardare indietro, e ritornano al vomito della propria volontà. 11. Costoro sono omicidi, perché per i loro cattivi esempi portano alla rovina molte anime.


Commento
1. Non può essere vero discepolo di Gesù se non colui che abbia rinunciato, per amor suo, a tutto ciò che possiede: beni materiali e propria volontà. Gesù, guardatolo, lo amò e gli disse: "Una sola cosa ti manca. Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e seguimi!" (Marco 10, 21).
2. Chi vorrà salvare la propria vita, ossia il proprio corpo, la perderà: l'importante, infatti, non è salvare il proprio corpo, destinato comunque alla tomba, ma la propria anima.
3. Si attiene quindi fedelmente ai dettami del Vangelo, di abbandonare cioè i propri beni e perfino il proprio corpo, il frate che saprà consegnare gli uni e l'altro nelle mani del suo superiore, sottraendosi così alle proprie tendenze egoistiche.
4. La vera obbedienza costituisce pertanto nel fare il bene, secondo la volontà del proprio superiore e mai contro di lui.
5. Anche chi crede di essere nella ragione, ritenendo di fare qualcosa di più alto rispetto a quanto comandato dal superiore, lo deve mettere da parte, per amore di Dio e nello spirito di carità fraterno. Nulla infatti può assicurare che non si stia in realtà seguendo un proprio perverso desiderio dettato da interesse egoistico e personale: affidarsi quindi in ogni caso alla volontà del superiore scongiura tale pericolo, e rassicura il frate nella propria obbedienza.
6. L'amore disinteressato, non egoistico, piace a Dio e al prossimo: obbedire al proprio superiore, all'altro-da-noi, è un atto di amore disinteressato, di obbedienza caritativa, obbedienza che si fa essa stessa carità.
7. Se il superiore ordinasse qualcosa di contrario al bene dell'anima e alla sua salvezza, il frate non è tenuto ad obbedirgli; ma nello spirito di carità non dovrà separarsi da lui, fornendogli in tal modo un esempio concreto di obbedienza e di carità, tale che possa indurlo alla correzione fraterna.
8. Il subire persecuzioni, e il sopportarle con pazienza, è indice di vero spirito di carità, che si completa nell'amare di più e nel benedire i propri persecutori a motivo della persecuzione stessa, che permette appunto di esercitare la carità con lo spirito di fortezza.
9. E' meglio patire persecuzioni piuttosto che separarsi dai propri fratelli, perché così facendo si sacrifica la propria vita per i fratelli, dando un esempio di fulgido amore disinteressato.
10. Per quanto si possa essere convinti di essere nel giusto, fare la propria volontà, seguire i propri desideri, in contrasto con gli ordini ricevuti dal proprio superiore, è indice di egoismo e di disprezzo dell'amore di carità, che invece ci porta all'obbedienza e all'umiltà. Fare la propria volontà è un atto di superbia, di ribellione nei confronti della propria comunità e di Dio stesso, e nel cammino verso la santità della vita è un ritornare indietro sui propri passi: Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volta indietro, è adatto per il regno di Dio (Luca 9, 62).
11. Chi crea scandalo, non solo mette a rischio la sua anima, ma anche quella dei fratelli, che vedono il cattivo esempio e ne possono rimanere vittime. Chiunque si comporta in tal modo, pertanto, è un assassino, un omicida, perché mette in pericolo la salvezza (e la vita eterna) di molti.

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