La Cappella Bolognini nella Basilica di San Petronio a Bologna


Probabilmente la cappella più famosa della Cattedrale bolognese di S. Petronio, la Cappella Bolognini (dal nome del committente degli affreschi) o anche "Cappella dei Re Magi" contiene un importante ciclo di affreschi di stile tardomedievale, realizzati fra il 1410 e il 1415, probabilmente dal pittore bolognese Iacopo di Paolo, attivo fra l'ultimo ventennio del '300 e i primi anni del secolo successivo.
immagine 1: i re Magi e la cometa
La cappella Bolognini è divisa in tre parti: sulla parete centrale sono raffigurate le Storie di S. Petronio in otto riquadri (dall'alto verso il basso, i primi quattro da sinistra poi a destra); sulla stessa parete si trova una pala d'altare con figure di santi e storie dei re Magi sulla predella, di stile gotico. Sulla parete di destra sono invece raffigurate le Storie dei Re Magi, anch'esse in otto riquadri a coppie (da sinistra a destra e viceversa) e su quella di sinistra -certamente la più famosa- scene del Paradiso e dell'Inferno, di ispirazione (così viene comunemente affermato) dantesca.
In tutto il ciclo di affreschi si nota un gusto realistico e attento ai particolari, che però indulge al dettaglio curioso se non fantastico, per suscitare meraviglia e stupore nell'osservatore.
Nella parete centrale le Storie di S. Petronio, opera di Giovanni da Modena, rappresentano il santo in viaggio in barca verso Costantinopoli alla ricerca di reliquie fino al suo ritorno a Bologna (di cui si intravedono le mura e le torri), fra il clamore della folla in festa.
immagine 2: Natività
Nelle Storie dei Re Magi (parete destra) la prima scena descrive i preparativi per la partenza al seguito della stella cometa: i Re Magi sono dipinti in abiti sontuosi, con cavalli e cavalieri al seguito, come in una partita di caccia medievale. Nella seconda scena i tre Re incontrano un ostacolo sul loro cammino, costituito da un fiume in piena; un cavallo inquieto viene ammansito da un servo, mentre un ragazzo attende pazientemente sulla riva. Nella terza scena appare la cometa, additata con stupore dagli uomini che precedono in corteo i tre Re (immagine 1); mentre nella quarta scena avviene l'incontro con Erode e il suo seguito, al quale Melchiorre, il più anziano dei Magi, stringe calorosamente la mano in segno di saluto. Erode ha la veste color violetto con bordi bianchi ed un mantello rosso foderato di ermellino, mentre alle sue spalle si intravedono le torri e le mura merlate di Gerusalemme, rappresentata come una tipica città medievale. Nella quinta scena è rappresentata la riunione fra i Magi e Erode con i suoi consiglieri; mentre nella sesta scena si vedono i Magi montare a cavallo e disporsi alla partenza, circondati da servi e da cavalieri al galoppo. Nella penultima scena è invece rappresentato l'arrivo dei Magi alla capanna, nell'atto di porgere doni e di baciare i piedi del Bambino, mentre Giuseppe, in un angolo, dorme profondamente (immagine 2). Nell'ultima scena, infine, i Magi fanno ritorno al loro paese (immagine 3): stranamente si tratta di una scena di mare, inconsueta e dalle fonti certamente non evangeliche, che vede i tre Re far ritorno in una grossa galea scortata da altre piccole imbarcazioni, in un mare agitato pieno di pesci; una di queste è ritratta ancora ferma sulla banchina, con i marinai e i servi intenti a fare il carico, mentre sulla spiaggia si muovono in fila delle anatre.
immagine 3: partenza dei Re Magi
La parete di sinistra è divisa in due parti: la parte superiore rappresenta il Paradiso, quella inferiore l'Inferno. Nel Paradiso (immagine 4) troneggia dall'alto la figura di Dio, racchiuso nella mandorla mistica, con la colomba dello Spirito Santo e Gesù ai suoi piedi che incorona la Vergine Maria. Le figure sono circondate dalla gerarchie angeliche, tutte provviste di un'insegna ad indicare il loro grado (Serafini, Cherubini, Troni, Potestà, Dominazioni, Virtù, Principati, Angeli, Arcangeli); mentre santi e sante sono seduti ordinatamente su dei banchi con fra le mani libri e rotoli, come ad un concilio.
Funge da cerniera fra Inferno e Paradiso la figura dell'arcangelo Michele, rappresentato con una lunga spada in mano e nel mentre calca con il piede sinistro un diavolo. Michele è, nell'esegesi biblica tradizionale, il capo delle schiere angeliche a difesa di Dio dopo la rivolta degli "angeli ribelli" capeggiati da Lucifero; era inoltre tradizionalmente associato alla "pesatura delle anime" nell'aldilà, per separare i buoni dai reprobi.
immagine 4: Paradiso
L'Inferno è dominato dalla gigantesca figura centrale di Lucifero (immagine 5), rappresentato con il corpo color marrone scuro coperto di peli, come di bestia, e una triplice volto con corna e occhi giallastri: la cosa più curiosa è però la collocazione delle facce, non affiancate su uno stesso collo, ma la seconda collocata fra le gambe, al posto dei genitali, forse a simboleggiare la sua natura sterile che non può generare vita; dalla prima bocca spunta la parte del corpo di un peccatore (probabilmente Giuda) maciullato dal demonio, che poi fuoriesce dalla seconda bocca, come se lo vomitasse e lo ingurgitasse in un moto perpetuo e eterno. Ma una possibile alternativa è che invece si tratti di due corpi distinti, e in questo caso sarebbero Giuda e Bruto. La terza faccia, in formato minore, spunta invece dal fianco sinistro del mostro. Nonostante il dipinto sia presentato sempre come di ispirazione o suggestione dantesca, in realtà di dantesco ha ben poco: in Dante il demonio -rovesciamento della trinità- ha tre teste affiancate, una gialla, una rossa e una nera, nelle cui bocche sono triturati Bruto, Giuda e Cassio; ha inoltre volto e ali "come di pipistrello", il cui movimento genera un vento sotterraneo. L'unico particolare in comune fra le due rappresentazioni sono le catene che legano il Diavolo saldamente alla roccia nel centro della Terra, simbolo della sua impotenza. 
immagine 5: Inferno
Ma gli elementi dell'affresco che divergono totalmente e drasticamente da Dante sono soprattutto i peccatori, le cui pene e rappresentazioni sono un salto indietro nei secoli a stilemi predanteschi, duecenteschi più che trecenteschi, di carattere ingenuo e di 'grosso' realismo (del resto Bartolomeo Bolognini aveva richiesto al pittore nel suo testamento di rappresentare le pene orribiles quantum plus potest, 'orribili il più possibile'). I peccatori sono suddivisi in due fasce: quella superiore, con diverse categorie di dannati, e quella inferiore in cui i peccatori sono distribuiti in sette schiere, in base ai sette peccati capitali (additati da cartigli): gli avari sono trascinati per i capelli e un diavolo versa loro in bocca dell'oro fuso; i superbi -re, papi e cardinali- sono accoccolati ai piedi di Lucifero, tormentati da serpenti e da demoni; fra i lussuriosi si distinguono una femmina nuda e le mammelle formose a cui un demonio infila un tridente acuminato nella bocca spalancata per cui il diavolo la afferra, e un altro dannato infilzato da uno spiedo dal di dietro che poi gli esce dalla bocca e va a sua volta a trafiggere un altro dannato per la gola; gli invidiosi sono trafitti da frecce scoccate dai demoni o forati negli occhi da raffi e uncini (l'invidia, da in-videre, è un peccato connesso al cattivo uso degli occhi); i golosi sono infilzati da spiedi o costretti dai demoni a ingurgitare cibo per forza (polpette o una specie di mortadella); gli iracondi si mordono e si afferrano l'un l'altro e sono a loro volta azzannati da lupi al corpo o alla testa; gli accidiosi sono legati e attorcigliati da serpenti. Di questa carrellata di dannati i più noti e curiosi sono una coppia di lussuriosi: lei è una donna nuda e formosa, strettamente avvinta a un uomo che le sta alle spalle, e morsicati entrambi dagli stessi serpenti. In questa coppia qualcuno ha ravvisato la rappresentazione di Paolo e Francesca.
immagine 6: idolatri
Nella fascia superiore, come già detto, sono adunate diverse schiere di peccatori: gli scismatici (fra cui Datan, che regge fra le mani il capo staccato dal corpo; e Abiron, morso da serpenti); i sacrileghi, squartati e mutilati al punto da provocare la fuoriuscita delle interiora, o appesi ad alberi e trafitti dai rami; i bestemmiatori, fra cui una "Pitonessa", con il capo avvinto da serpenti; a destra gli idolatri (immagine 6), avvinti da serpenti e appesi per la gola o penzolanti all'in giù (fra i quali è Minosse); da ultimo ci sono gli eretici: uno, Arius, è appeso ad un albero per la lingua; l'altro è il personaggio più famoso dell'intero ciclo di affreschi: si tratta di Maometto (immagine 7). Il profeta è rappresentato nudo, riverso al suolo, con il corpo squartato e martoriato da un demone cornuto che lo afferra per la testa e lo lega con dei serpenti. Nell'Inferno di Dante (XXVIII, vv. 22-42), Maometto -indicato da una scritta Machomet ai suoi piedi- è tagliato da un diavolo dal mento fino all'ano, con le interiora che gli pendono fra le gambe e il torace aperto (allargato a bella posta dal dannato per mostrarlo a Dante), da cui si intravedono il cuore e lo stomaco. In Dante la pena di Maometto (accompagnato da Alì, cugino e genero di Maometto, all'origine della fazione degli sciti opposta ai sunniti) è per la legge del contrappasso sminuzzato in tante parti del corpo per alludere allo scisma e alle divisioni creato in seno alla comunità religiosa (Dante considerava i musulmani una setta religiosa scismatica).
immagine 7: Maometto
Insomma pochi e molto vaghe sono le riprese dantesche da parte del pittore degli affreschi; la sua visione dell'al di là, soprattutto nel rapporto pene/punizioni, non conserva quasi nulla dell'elaborato sistema dantesco, basato sulla legge del contrappasso che instaura una relazione diretta e ben precisa fra quanto commesso in terra e quanto bisogna espiare post mortem. Demoni con spiedi per infilzare i peccatori, fuoco e fiamme a volontà, rimandano a un'idea dell'oltretomba predantesca, ingenua e popolare, che più che ammiccare al fine teologo, cerca solo banalmente di atterrire e incutere spavento nell'animo del popolino che avrebbe osservato il dipinto. In ogni caso, al di là del valore e della suggestione artistica, l'affresco resta una bella testimonianza di gusto tardomedievale nella Bologna del primo Quattrocento, ed è un peccato che l'affresco oggi sia tristemente noto in quanto considerato obiettivo sensibile di minacce terroristiche. Certamente l'arte è arte, e il Medioevo è Medioevo: folle sarebbe giudicare Dante -o altri come lui- con i criteri di oggi (Dante razzista, islamofobo o antisemita); così come oltremodo stupido sarebbe censurare Dante, e in genere l'arte del passato, per un malinteso senso del rispetto verso le altre culture e in nome del politicamente corretto. L'arte si può giudicare, e in quanto tale può piacere o non piacere: ma non si censura, o -peggio- si brucia.

Commenti

  1. Voce molto ben fatta: non erudita ma colta. È un piacere leggere simili voci su internet. Complimenti ad Angelo Eugenio Mecca. Grazie da Venusta 6.06.2023

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  2. Molto ben scritto e interessante. Non sono d'accordo con una affermazione finale: come mai sarebbe sbagliato giudicare Dante come razzista, islamofobo o antisemita? Basterebbe farlo con la coscienza che viveva in un'epoca diversa dalla nostra e nonostante ciò continuando ad apprezzare i suoi lavori. Anche la questione sulla censura di Dante, per quanto sbagliatissima come idea, non penso che sia assurda come lei la dipinge se si pensa all'influenza che queste idee possono avere ancora oggi e, per fare un esempio più attuale, al rapporto di censura che la Germania ha nei confronti del nazismo.

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