Rappresentazione del profeta Gioele
su una placca d'avorio (Paris, Louvre)
Secondo dei 12 profeti minori (il primo è il Libro di Osea), il libro di Gioele è uno dei più brevi della Bibbia: soli 4 capitoletti. Della figura storica di Gioele non si sa praticamente nulla: figlio di Petuèl (1,1), potrebbe essere vissuto nel IX secolo, oppure - secondo altri - nel secolo successivo, o secondo altri studiosi ancora, soprattutto moderni, addirittura nell'epoca dopo l'esilio babilonese (quindi dopo il 538 a.C.).
Due sono le caratteristiche del libro di Gioele, per le quali esso è particolarmente noto: la descrizione dell'avvento del "giorno del Signore", con un linguaggio e uno stile di carattere decisamente apocalittico; e la profezia dell'Effusione dello Spirito Santo a tutti i popoli, profezia che sarà poi letteralmente ripresa nel Nuovo Testamento sia da Pietro (negli Atti) che da Paolo (ai Romani).
1. L'invasione delle cavallette (1, 2-12).
Nella prima parte del libro, Gioele descrive un'invasione di locuste e cavallette, immagine tradizionale nella Bibbia (a partire almeno da Esodo 10 e sgg.) per indicare l'ira del Signore: i campi e i raccolti ne sono devastati, il popolo di Israele ne è sconvolto.
Devastata è la campagna,
piange la terra,
perché il grano è devastato,
è venuto a mancare il vino nuovo,
è esaurito il succo dell'olivo.
Affliggetevi, contadini,
alzate lamenti, vignaiuoli,
per il grano e per l'orzo,
perché il raccolto dei campi è perduto!
(1, 10-11)
Il resto del verme l'ha divorato la locusta,
il resto della locusta l'ha divorato il bruco,
e il resto del bruco l'ha divorato la cavalletta.
Svegliatevi, ubriaconi, e piangete!
Lamentatevi tutti, bevitori di vino,
per il vino nuovo che vi è tolto di bocca!
(1, 4-5)
La desolazione della campagna, assalita da vermi, bruchi, locuste e cavallette, è esemplificata dalla perdita totale del raccolto, e in particolare dai prodotti fondamentali dei campi, la cosiddetta "triade mediterranea": il grano, l'olio e la vite. Quest'ultima, soprattutto, rappresenta sempre nella Bibbia, tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento, l'elemento della gioia e della festa, venendo a mancare il quale significa la perdita totale e definitiva della gioia di vivere, da cui l'invito a lamentarsi, rivolto in particolare agli ubriaconi e ai bevitori di vino.
2. Invito alla penitenza (1, 13-14).
Per reagire a questa calamità, Gioele - come tutti i profeti della Bibbia - predica una conversione da parte del popolo, e un invito alla penitenza da parte di tutti, membri del clero compresi:
Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti,
urlate, ministri dell'altare,
venite, vegliate vestiti di sacco,
ministri del mio Dio.
Proclamate un digiuno,
convocate un'assemblea,
adunate gli anziani
e tutti gli abitanti della regione
nel casa del Signore vostro Dio,
e gridate al Signore!
(1, 13-14)
Nell'Antico Testamento, di fronte all'ira di Dio o a una sua minaccia di punizione e castigo nei confronti del popolo infedele, i profeti invitavano alla penitenza tutta la popolazione, che si risolveva poi nell'organizzazione di una cerimonia pubblica con tutta una serie di riti ben stabiliti: innanzitutto la convocazione di un'assemblea nel Tempio ("nella casa del Signore vostro Dio"), alla presenza di tutto il popolo e in particolare degli anziani; la proclamazione di un digiuno pubblico; il pentimento, da parte del popolo e in particolare da parte dei suoi membri più altolocati (re e sacerdoti), manifestato pubblicamente indossando vesti di sacco e cospargendosi il capo di cenere.