LE MEMORIE DI UN "ENTUSIASTA": HEINRICH SCHLIEMANN (1822-1890)


Secondo Wieland Schmied il tratto dominante di Schliemann era il suo “entusiasmo”, ossia la sua capacità di lasciarsi trascinare e dominare completamente dalle sue passioni, e nella fattispecie dal suo grande amore per Omero che si traduceva in una fiducia cieca e incondizionata nei confronti dei racconti e della veridicità storica dei fatti narrati nell’Iliade e nell’Odissea, al punto dal porsi come obiettivo della sua vita di portare alla luce la rovine della mitica città di Troia.
Per toccare con mano l'esatta portata di questo suo entusiasmo basta rileggere oggi le sue memorie (giudiziosamente ristampate da Einaudi: H. Schliemann, La scoperta di Troia, Torino, Einaudi 2017, pp. 248) dove Schliemann ripercorre sinteticamente la sua vita, cominciando da quando a otto anni si entusiasma la prima volta di fronte alle illustrazioni di Troia in fiamme in un libro di storia universale regalatogli dal padre per Natale; fino all'incontro, altrettanto decisivo, con uno studente ubriaco che quando Schliemann - poco più che quindicenne - lavorava come garzone in una drogheria per sbarcare il lunario, gli recita una sera dei versi di Omero in greco antico (che lui peraltro non capisce).
Da qui in seguito i suoi viaggi a causa della sua professione di piccolo commerciante prima e poi di intraprendente imprenditore in giro per il mondo (America, Russia, Giappone...), i suoi traffici e le sue speculazioni: fino al raggiungimento di una cospicua fortuna che lo mette al riparo da ulteriori problemi economici e gli consente di ritirarsi dal mondo degli affari per dedicarsi alla sua vera passione: Omero e i poemi omerici, dimostrando che sì, che Troia è esistita davvero (molti ne dubitavano al suo tempo), e che lui l'avrebbe trovata e riportata in vita.
Prima a Itaca, alla ricerca del favoloso palazzo di Odisseo; poi, Iliade alla mano, la collina di Hissarlik in Turchia, dove finalmente realizza il sogno di una vita: scopre davvero Troia, e con essa una innumerevole quantità di preziosi tesori (fra cui il cosiddetto 'Tesoro di Priamo'). Il mondo è sconvolto e ammirato da queste sensazionali scoperte, ma Schliemann non è pago: dopo Troia ora vuole trovare le tracce del popolo che ha distrutto Troia in quei dieci anni di guerra, come da racconto dell'Iliade. Si reca sul continente greco, a Micene, la città di Agamennone, il gran capo - secondo Omero - della spedizione achea contro Troia: ed è anche qui un trionfo. Riporta in luce l'antica rocca (con la famosa Porta dei leoni), le tombe 'a thòlos' e il circolo delle tombe reali, con ancora altri tesori inestimabili (come la celeberrima 'Maschera di Agamennone').
Potrebbe addirittura arrivare a scavare a Creta, nel tentativo di riportare alla luce il Palazzo di Cnosso del mitico re Minosse (il Minotauro, Teseo e Arianna, Dedalo...): individua correttamente il sito, ma non si mette d'accordo con il proprietario del terreno che a suo dire - lui pure così ricco - gli chiede troppi soldi per rilasciargli il permesso. E così non se ne fa niente. Qualche anno dopo l'inglese Arthur Evans non farà altro che andare nel sito individuato anni prima da Schliemann e far rinascere così il celebre labirinto del Minotauro...
Ma Schliemann è comunque, e a sufficienza, già leggenda per quanto ha fatto: il mondo dell'archeologia, al pari dell'opinione pubblica del tempo, ne è sconvolto e rivoluzionato. È lui per esempio a coniare il termine, poi invalso negli studi, di 'civiltà micenea' assegnato alla civiltà fiorita sul continente greco durante l'Età del Bronzo.
Leggendaria la sua vita, e a suo modo, forse, anche la morte, che per uno come lui non poteva essere banale: si concede una meritata vacanza in Italia, a Napoli, ma mentre passeggia per la strada, da solo e senza la famiglia, la sera di natale del 1890, è colto da malore, e stramazza a terra. Nessuno lo riconosce. E nessuno vorrà farsi carico di trasportarlo in ospedale: verrà riconosciuto solo molto dopo, grazie ad un biglietto da visita che aveva addosso. Lasciò orfani due figli, un maschio e una femmina: si chiamavano rispettivamente Agamennone e Andromaca.
A rileggere oggi le sue memorie, oltre che per il personaggio eccezionale in sé, colpiscono i tanti aneddoti e le numerose vicende che lo hanno visto protagonista: al di là delle emozionanti scoperte di Troia prima e di Micene poi (raccontate con dovizia di particolari, alcuni anche molto gustosi), colpiscono anche i momenti più intimi e quotidiani della sua vita. Su tutti il suo amore per Omero, che trasuda da ogni pagina, che lo ha spinto a imparare il greco antico da autodidatta, e poi il greco moderno con il quale intrattiene gli abitanti di Itaca, recitando loro o parafrasando, a loro gente di campagna e per lo più analfabeta, i versi dell'Odissea e le vicende di un lontano passato parlando nella lingua nativa dei loro padri. Pagine straordinarie che non si dimenticano facilmente. Di un uomo straordinario.
Un libro da leggere assolutamente.

qui una piccola antologia di alcuni brani significativi

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