La legge del contrappasso: la (comica) morte dei tragici greci

Edipo e la Sfinge (IV secolo a.C., Vaticano, Museo Gregoriano Etrusco)

Chi non ricorda, fra i traumi del liceo classico, la tristissima filastrocca basata su un gioco di parole, per far ricordare a noi ragazzi i (difficili) nomi dei tre grandi tragediografi greci? "Eschilo eschilo, ragazzi, che qui si sofocle! Ma attenti alle scale, che sono euripide!".
La tragedia greca è in effetti una delle vette della letteratura, e in genere del pensiero e della cultura dell'antica Grecia: i suoi temi fondamentali sono il senso del dolore nel mondo, il rapporto fra l'aspirazione alla felicità degli uomini e l'"invidia" degli dèi, il senso della storia, rispecchiata dal mito, e della vita in generale: insomma un vero mattone!
Ma a dispetto della tragicità - è proprio il caso di dire - dei temi trattati nelle loro opere, tutti e tre i tragediografi sono accomunati da un insolito destino: le loro morti stupide, dal carattere decisamente comico. Siamo ovviamente nel campo della leggenda, niente di storicamente certo insomma, ma le fonti antiche sono concordi, e ci restituiscono un quadro degno dei Darwin Awards, il premio - per chi non lo avesse mai sentito nominare - riservato in tempi recenti alle morti più stupide dell'anno.
Eschilo, in tarda età, decide di lasciare Atene per trasferirsi in Magna Grecia, precisamente a Gela, presso il famoso tiranno Ierone di Siracusa. Un giorno esce per fare una passeggiata, e finisce per sedersi su un masso; sfortunatamente in quel preciso momento sfreccia nel cielo un'aquila, che nelle intenzioni di mangiarsi una tartaruga appena catturata e che stringeva fra i possenti artigli (ma le aquile poi, mangiano le tartarughe?), decide di mollare la presa per farla sfracellare sulle rocce, onde distruggerne il guscio e poterne pappare la gustosa carne. Sfiga vuole che Eschilo fosse calvo, e avesse una pelata liscia e soda, tale da indurre in errore l'incolpevole aquila, che scambia la testa del nostro per un bel cocuzzolo di roccia, lasciandoci cadere sopra la tartaruga. Un oracolo, tempo addietro, aveva predetto ad Eschilo il suo futuro, ma in maniera alquanto ambigua, come nella migliore tradizione greca: "Sarai ucciso da un proiettile vagante!", aveva sentenziato. Il povero Eschilo magari evitava i capodanni o le feste di villaggio, pensando alla pistolettata di qualcuno un po' euforico affacciato al balcone, o chissà cosa: ma essere ucciso da una tartaruga in testa, sganciata da un'aquila affamata, no, a questo non avrebbe mai pensato.
A proposito di fame... chi non ricorda le scene di certi colossal anni '50, ambientati nell'antica Roma, dove si vedono imperatori e patrizi che mangiano un grappolo d'uva succulento, tutti invariabilmente distesi a mezzo busto sul triclinio? Sofocle bisogna immaginarlo proprio così nel suo ultimo istante di vita: a un simposio ingurgita distrattamente un acino d'uva un po' troppo grosso, e ne rimane strozzato! 
Sulla morte di Euripide invece ci sono due versioni, scegliete voi quella che vi sembra la più originale: 1. Euripide passeggia per i fatti suoi, quando viene attaccato e sbranato da una muta di cani feroci, che passavano lì per caso (forse il padrone distratto aveva allentato un po' troppo il guinzaglio...); 2. Euripide passeggia per i fatti suoi, quando viene attaccato e e fatto a pezzi... da una turba di donne invasate, che passavano lì per caso di ritorno da una festa di carattere orgiastico in onore di Dioniso (detto in parole povere: era ubriache fino al midollo).
Qualcuno in verità ha pensato che le tali morti potessero avere un qualche significo simbolico o allegorico, più o meno nascosto: Eschilo era una testa dura, dallo stile aspro e tagliente come quello di una roccia; Euripide invece sarebbe stato punito dagli dèi per la sua empietà (i cani), o per la sua - vera o presunta - misoginia (le donne invasate); Sofocle chi lo sa, forse era solo troppo goloso di uva e basta. Ma forse, senza tentare di arrampicarsi sugli specchi, pensando al paradosso che una morte più o meno comica abbia colpito tutti e tre i tragici greci, l'insegnamento o morale che se ne può trarre è solo questo: 1. La calvizie è una brutta cosa, quindi stateci attenti, e - se possibile - evitatela! 2. Mai prendersi troppo sul serio nella vita. Anzi, nella morte.

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