Rocco Scotellaro, Margherite e rosolacci


Rocco Scotellaro (1923-1953) è il poeta-contadino per definizione: nella sua poesia (E' fatto giorno, 1954; Margherite e rosolacci, 1978) egli proclama a gran voce la adesione di carne e di sangue al mondo dei contadini lucani, sfruttati ed emarginati dalla storia e dalla civiltà. In lui si amalgamano perfettamente le due figure dell'intellettuale e del contadino legato alla sua terra, ai suoi genitori (il padre ciabattino, la madre una modesta casalinga) e ai suoi avi, nati e vissuti sempre in Lucania. In Margherite e rosolacci, in particolare, emergono poi come temi preponderanti l'emigrazione meridionale (attraverso l'immagine frequente della stazione), con tutta la malinconia che avvolge il cuore dell'esule dalla sua terra; l'annullamento dell'io del poeta che quasi si fonde nel noi della comunità contadina che rappresenta, celebrata nella sua rete di rapporti solidali, tanto nei momenti di gioia (la bevuta cameratesca del vino intorno al caminetto, i pranzi in famiglia durante le feste, il gioco della morra), quanto nei momenti di dolore (l'agonia di un contadino colpito dalla malaria, il ricordo del padre morto). Un poeta insomma che, nonostante la carica rivoluzionaria dei suoi versi e del suo impegno politico, resta profondamente radicato alla sua terra, alle sue tradizioni e ai suoi avi.
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