San Francesco d'Assisi, Preghiera davanti al crocifisso

Il Crocifisso di S. Damiano, attualmente
nella Basilica di S. Chiara (Assisi)

La Preghiera davanti al Crocifisso (Oratio ante Crucifixum) sarebbe stata composta, secondo la tradizione, quando Francesco, mossi i primi passi sulla sequela Christi ma ancora incerto e profondamente dubbioso circa le scelte da compiere nella sua vita, pregava fervidamente davanti all'immagine del crocifisso posto nella piccola chiesetta di S. Damiano, supplicando il Signore che gli indicasse la via da seguire per compiere la Sua volontà, quando improvvisamente udì una voce parlargli: "Francesco va' e ripara la mia casa!".
Riguardo all'autenticità della preghiera posta sulle labbra di Francesco, non ci sono più seri dubbi, e tutta la critica è oggi concorde nell'attribuzione al poverello di Assisi di questa piccola e spontanea preghiera, tutta ricolma del più vero spirito francescano.
Probabilmente nei primissimi tempi il componimento circolò in forma orale, recitato da Francesco e dai primi discepoli del santo; qualcuno ipotizza - e non è certo idea da scartare - una trasmissione della preghiera dalla viva bocca del fraticello a Frate Leone, e da lì poi diffusasi rapidamente negli ambienti francescani. In ogni caso, se la preghiera va ricondotta agli anni di S. Damiano, la sua datazione è agli anni 1205/1206, e questo ne fa "per l'ordine cronologico, al primo posto degli opuscula del santo" (K. Esser, Gli scritti di S. Francesco d'Assisi, Padova, Edizioni Messaggero 1995, p. 458).
Della preghiera esistono una versione in latino (forse traduzione successiva dell'originale in volgare), che non presenta particolari problemi di natura testuale, e diverse versioni in volgare, che invece presentano molte varianti, a seconda anche della zona di provenienza dei copisti. Esistono infine anche versioni antiche in altre lingue, e precisamente: due in tedesco (rispettivamente in tedesco meridionale e settentrionale, del XV/XVI secolo); una in spagnolo (del 1492) e una in portoghese (datata 1556).
Il testo di riferimento è quello di Esser (Gli scritti..., pp. 450-58) per la versione in latino e in volgare; per quest'ultima si cita la forma antica trasmessa dal codice di Oxford, Bodleian Library, cod. theol. d. 23, datato 1406/09, più vicino, secondo l'editore, alla versione originale:

Oratio ante Crucifixum
Summe, gloriose Deus, illumina tenebras cordis mei et da mihi fidem rectam, spem certam et caritatem perfectam, sensum et cognitionem, Domine, ut faciam tuum sanctum et verax mandatum.

Preghiera davanti al Crocifisso 
[versione antica]

Altissimo glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio
et da me fede dricta,
sperança certa e caritade perfecta,
senno et cognoscemento,
Signore, che faça lo tuo santo e verace comandamento.
Amen.

Preghiera davanti al Crocifisso 
[versione moderna]

Altissimo glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio
e dammi fede retta,
speranza certa e carità perfetta,
senno e conoscimento,
Signore, che io faccia il tuo santo e verace comandamento.

La piccola preghiera si può agevolmente dividere in tre parti: un'invocazione iniziale (vv. 1-2), una richiesta a Dio di doni spirituali (vv. 3-5), e la dichiarazione dello scopo dei tale richiesta, da concretizzare nel tessuto della propria vita (v. 6).
Altissimo è epiteto tipico di Francesco per rivolgersi al Signore; anche nel Cantico delle creature, ad esempio, l'invocazione iniziale è all'Altissimu, onnipotente, bon Signore. Dio è altissimo perché posto da Francesco nel più alto dei cieli, mentre l'uomo resta confinato e inchiodato su questa terra. Tanto quanto dista il cielo dalla terra, così dista l'uomo fatto di polvere e di carne da Dio che è puro Spirito.
Dio è anche glorioso, e lo è nella fattispecie nel Figlio, assunto nella gloria dopo il trionfo sulla morte. L'immagine, è stato notato da molti, ben si addice in particolare al Crocifisso di S. Damiano, un Christus triumphans che si stacca dallo sfondo nero - simbolo delle tenebre e dell'abisso della morte - circonfuso dell'oro della sua gloria, che è gloria fatta di luce che sconfigge la tenebra.
Dio è luce, l'uomo è tenebra. Soprattutto nel cuore dell'uomo si annidano le tenebre più oscure. L'uomo vive nelle tenebre, è circondato dalle tenebre e dal buio più fitto: sul suo essere, sulla sua vita, sul suo essere-qui in questo momento, sul significato ultimo della sua esistenza e sul misterioso fine a cui essa tende. La tenebra è anche il simbolo incarnato del seme del dubbio, che attanaglia l'uomo circa il mistero salvifico di Dio. Nell'uomo Francesco, che si è appena gettato alle spalle una vita di sicurezze, comoda, già scritta e preordinata, la tenebra del dubbio è anche il buio circa le scelte da fare, quale strada seguire, quale cammino intraprendere adesso, senza più sicurezze, senza un padre terreno che ti guarda le spalle e copre le tue intemperanze; insomma senza più nessun appiglio.
Ma Dio è luce, e solo la sua luce può illuminare il buio; solo Dio che è luce può squarciare le tenebre fitte che circondano l'uomo. Per questo Francesco prega dicendo: Dio, che sei luce, illumina le mie tenebre.
La seconda parte della preghiera è la richiesta a Dio da parte di Francesco di essere illuminato dalle tre virtù teologali: fede, speranza e carità.
Dammi fede retta: la tenebra si vince con la luce, il seme del dubbio si può vincere solo con il salto nella fede. Dio, che è luce, può illuminare le nostre tenebre, ma dobbiamo avere fede in Lui per credere che può farlo. Lampada sui miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino (Salmi 119, 105); e ancora: Sì, tu sei la mia lampada, Signore, il mio Dio che illumina la mia oscurità (Salmi 18, 29).
Francesco implora inoltre la fede retta (o diritta secondo altre versioni), e c'è forse qui la paura e la preoccupazione, tipica anche questa del poverello di Assisi, di non imboccare un sentiero distorto, fuori dalla Chiesa di Roma, al di fuori della quale non c'è né può esserci salvezza. La fede insomma è la fede della Chiesa, nonostante tutti i suoi limiti - particolarmente evidenti nel Duecento - e la via da battere non può essere quella dell'eresia (o, oggi, di una fede fai-da-te).
L'espressione speranza certa pare invece quasi un ossimoro, un controsenso: la speranza, in quanto tale, non può essere per definizione una certezza. Ma Francesco chiede a Dio una speranza che sia una speranza vera, ricolma di quella fede retta che implica un abbandono fiducioso a Dio, lontana dalle tenebre del dubbio. Nell'incertezza del momento (cosa fare, dove andare...) l'uomo Francesco, pieno di dubbi e di incertezze, chiede a Dio di sostenerlo nella speranza, come se dicesse: Credo! Ma aiutami nella mia incredulità! (Marco 9, 24).
La carità perfetta è infine il sigillo definitivo delle richieste di Francesco a Dio. Una fede chiusa in se stessa, focalizzata esclusivamente sulla dimensione egoistica del proprio sé, che non si apre all'esterno, all'amore dell'altro: non è questa una fede completa, ma piuttosto una fede dimidiata, cui manca il sigillo della concretezza. Francesco chiede a Dio di poter imparare ad amare, ad amare tutti: dal lebbroso, che prima gli riusciva intollerabile alla sola vista, ai propri nemici, fedele a quel precetto che dice che Dio fa sorgere il suo sole sui cattivi come sui buoni e fa piovere sui giusti come sugli ingiusti (Matteo 5, 45). Per questo la legge più grande è Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Matteo 22, 37-39). E questo è il motivo per cui Paolo esclama: Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità! (Prima Lettera ai Corinzi 13, 13).
Francesco chiede infine senno e conoscimento, ossia la sapienza, che però non è la sapienza del mondo, che consiste nell'essere intelligenti, nel saper leggere o scrivere bene, o nel discettare di filosofia e teologia; ma è l'intelligenza delle Sacre Scritture, la capacità di penetrare nei segreti di Dio e nel suo mistero, e questo con il solo scopo di poter fare, nella vita di tutti i giorni, la Sua volontà.
Il versetto finale dichiara in effetti qual è lo scopo della preghiera rivolta a Dio, e più in generale, lo scopo della nuova vita di Francesco: non capire quali sono i miei sogni di uomo, i miei progetti, i miei desideri; ma capire quale è la volontà di Dio, quale è il suo progetto su di noi, e solo quelli cercare di interpretare e tradurre concretamente nella quotidianità, nella vita di tutti i giorni, passo dopo passo, ostacolo dopo ostacolo: Padre mio, non come voglio io, ma come vuoi Tu! (Matteo 26, 39). Tutto ciò nella certezza che Dio sa scegliere per noi sempre il meglio, che ha un progetto chiaro su di noi, e che noi non possiamo fare altro che abbandonarci a Lui con fiducia, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre (Salmi 131). 
Scopo quindi del cristiano, di ogni cristiano, è fare la volontà di Dio; e non altro. Solo il comandamento di Dio è santo, perché Dio stesso è Santo, ed è verace, non può mentire o venir mai meno.

Ancora una volta come nell'immagine del Crocifisso di S. Damiano si alternano e quasi si contrappongono il colore nero dello sfondo e l'oro del Cristo in primo piano; allo stesso modo in questa preghiera di San Francesco i colori dominanti sono il nero delle tenebre dell'uomo (i suoi dubbi, le sue domande, la sua angoscia...) e l'oro della luce di Dio, che come un lampo può squarciare il buio. 
La Preghiera davanti al Crocifisso è una preghiera dove la luce si contrappone alla tenebra, è una preghiera immersa in un'atmosfera notturna, al lume fievole delle candele: e alla recitazione notturna in effetti ben si addice.
"A prima lettura, l'insistenza con la quale Francesco chiede illuminazione, senno e cognoscemento, sembra denunciare uno stato di oscurità interiore, che peraltro corrisponde assai bene al momento biografico che egli sta vivendo. Ma a un esame più attento emergono anche le grandi luci..." (dalle Fonti Francescane). 
E' forse questa la lettura più giusta della preghiera: il trionfo della luce sulle tenebre; in una notte buia e oscura, fin quando appare, prima pian piano poi con forza maggiore, il bagliore di un raggio di luce, che poi si espande e si espande dappertutto, e finisce per avvolgere ogni cosa nel suo accecante fulgore.

Io sono la luce del mondo: chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.
(Giovanni 8, 12)

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