"Io son colui che tenni ambo le chiavi / del cor di Federigo..." (Inf. XIII 58-59): alle radici di un'immagine (Nuova Rivista di Letteratura Italiana VII, 2004, 1-2, pp. 69-80)
La famosa definizione che Pier delle Vigne dà di se stesso, nel canto dei suicidi (Inf. XIII 58-59), è uno stilema appartenente al lessico della poesia amorosa, ma la fonte originale è biblica: dalla clavem domus David (Isaia 22, 20-22) alle più famose claves regni caelorum che Gesù (Mt 16, 17-19) affida a Pietro. Ma è nella poesia amorosa d'Oltralpe in lingua d'oil - a partire da Chrétien de Troyes - che il sintagma viene ricontestualizzato in "chiavi del cuore" (clef del cuer) o "chiavi d'amore", detto dell'amante che possiede l'accesso più intimo al cuore dell'amata/o. L'immagine passa poi alla lirica amorosa italiana (la si trova, fra l'altro, nel Fiore e nelle stesse Rime dantesche), e da qui al Dante della Commedia. Il significato esegetico del passo dell'Inferno è quindi quello di paragonare l'intimità e l'amicizia fra l'imperatore Federico e il suo notaio a quello del rapporto amoroso fra amanti, per segnalarne la profondità e nel contempo riabilitare la figura di Piero, ingiustamente calunniato al punto da indurlo a darsi la morte.
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