S. N. Kramer, I Sumeri. Alle radici della storia (Roma, Newton Compton 1997)


Il misterioso popolo dei Sumeri, trapiantato agli albori della storia nella Mesopotamia meridionale (attuale Iraq) da chissà dove - non sono Indoeuropei né Semiti, né hanno parentele note con altre popolazioni - fu l'inventore della scrittura intorno al IV millennio a.C., e ci ha lasciato una ricca letteratura, scritta in caratteri cuneiformi su tavolette di argilla. 
Il volume di Samuel Noah Kramer (1897-1990), uno dei più grandi sumerologi di sempre (L'histoire commence à Sumer, prima edizione Paris 1975), raccoglie 30 saggi, ognuno dei quali dedicato a una "prima assoluta" nella storia.
Il saggio iniziale è dedicato alle testimonianze relative alle prime scuole: la scuola presso i Sumeri nasce per trasmettere l'apprendimento della (complessa) scrittura cuneiforme; le prime scuole, con una notevole quantità di testi scolastici (esercitazioni, compiti, ecc.) sono state dissepolte nell'antica città di Shuruppak, e sono databili al 2500 a.C. Dalle tavolette apprendiamo che il numero degli scribi in attività era pari a diverse migliaia, e tutti destinati a ricoprire incarichi di amministrazione presso il Tempio e il Palazzo del re. All'inizio la scuola è alle dipendenze del Tempio, quindi sotto il controllo religioso; ma col passare del tempo essa si svincola sempre più fino ad assumere un carattere laico e a diventare il fulcro della cultura e del sapere sumerici. L'istruzione, come per la maggior parte dei popoli dell'antichità, non era obbligatoria, né rivolta a tutti: solo le classi sociali più elevate potevano permettersi il pagamento della retta del maestro e il tempo prolungato per conseguire il titolo di scriba. Era quindi a tutti gli effetti una scuola privata, per pochi. Nelle tavolette poi non figurano mai donne: segno che l'educazione era esclusivo appannaggio maschile. A capo della scuola stava l'ummia, o 'padre della scuola', mentre gli alunni erano chiamati 'figli della scuola'. Il maestro era affiancato da un assistente chiamato 'fratello della scuola', che trascriveva in bella copia le tavolette che gli allievi dovevano ricopiare e poi imparare tutte a memoria. Completavano l'organico dei docenti un 'incaricato del disegno' (la scrittura era in gran parte pittografica), e un 'incaricato del sumerico' (un nostro insegnante di grammatica). Fra gli addetti alla sorveglianza figurava anche il temuto 'incaricato della frusta' che puniva i ritardatari o i ragazzi particolarmente distratti o indisciplinati. 
La scuola durava dall'alba al tramonto, e i compiti assegnati erano quotidiani. I programmi si dividevano in due indirizzi principali: il primo settore di carattere scientifico (soprattutto astronomia e matematica, geografia, botanica e zoologia) e mnemotecnico, il secondo letterario e creativo, Quest'ultima parte prevedeva l'avviamento alla creazione letteraria, ma consisteva principalmente nello studiare a memoria le opere antiche (quasi sempre poesie, di lunghezza variabile da 50 fino a un migliaio di righe), nel copiarle e imitarle. Non è certo che gli studenti avessero delle vacanze durante l'anno, ma è probabile; e gli anni di studio andavano dalla prima infanzia fino al termine dell'adolescenza.
Il secondo saggio è ancora dedicato ancora all'ambito dell'istruzione, e costituisce il primo esempio di adulazione di un maestro da parte del suo allievo. Il documento, definito da Kramer "uno dei più umani che siano stati portati alla luce nel Vicino Oriente", racconta la difficile vita quotidiana di uno scolaro del 2000 a.C. circa, il quale, non diversamente dagli studenti di oggi, si sveglia di malavoglia e solo per paura che il maestro lo riprenda (e l'addetto della frusta lo picchi), e chiede pertanto a sua mamma di affrettarsi a preparargli una veloce colazione. Ma per accattivarsi poi le simpatie del maestro, l'allievo propone al padre di invitarlo a casa loro, dove gli offriranno vino, abiti nuovi e addirittura un anello al dito, meritandosi così l'elogio del ben contento maestro. Il documento è prezioso altresì perché è uno dei testi sumerici più antichi dove compare il termine namlulu, 'umanità', inteso come il latino humanitas, "il comportamento degno di un essere umano" che solo l'istruzione e la cultura possono donare.
Il terzo saggio, anch'esso molto umano, è dedicato al primo "teppista" dello storia: un padre preoccupato rimprovera il figlio fannullone che preferisce alla scuola il gironzolare per le strade ("Dove sei andato?", - "In nessun posto". - "Se tu non sei stato in nessun posto, perché baloccarsi come un fannullone? Va' a scuola, presentati al 'padre della scuola', recita la lezione, apri la cartella, incidi la tavoletta, lascia che il 'fratello maggiore' scriva in bella la tua nuova tavoletta. Quando avrai terminato il tuo compito e l'avrai mostrato al tuo sorvegliante, torna da me senza gironzolare per le strade").
Cartina dell'antica Mesopotamia e del paese di Sumer
Il quarto saggio è dedicato alla prima "guerra dei nervi" della storia, un resoconto storico (ma in versi) sul conflitto fra Enmerkar re di Uruk e il signore di Aratta. Il testo rappresenta il più lungo racconto epico sumerico scoperto fino ad oggi (un centinaio di versi più altri frammenti distribuiti su una ventina di tavolette), ed è noto soprattutto perché vi si narra l'invenzione della scrittura, proprio da parte di Enmerkar, per comunicare al signore di Aratta il testo di un messaggio troppo lungo e complesso per poter essere recitato a voce dal messaggero.
Il quinto saggio è dedicato al primo parlamento della storia, riunitosi nella città di Uruk verso il 3000 a.C, per decidere della guerra contro Agga re di Kish. Il poemetto vede come protagonista Gilgamesh, re di Uruk, in una delle prime versioni del mito riferite alla sua vita avventurosa.
Il sesto saggio ospita la testimonianza relativa al primo storiografo, genere letterario in cui i Sumeri non brillarono particolarmente: un archivista del re Entemena che racconta alcune vicende della città di Lagash, intorno al 2600 a.C.
Il settimo saggio discute della prima riduzione di imposte di cui si conserva traccia, realizzata, nei confronti dei suoi concittadini, da parte di Urukagina, re di Lagash intorno al 2360 a.C. circa.
L'ottavo saggio è dedicato al primo "Mosè", ossia il primo legislatore sumerico - nella fattispecie Ur-Nammu re di Ur intorno al 2100 a.C. - che redige un codice di leggi precedente di ben tre secoli il più famoso Codice di Hammurabi (1800 a.C.).
Il nono saggio è dedicato alla prima sentenza in tribunale, per il caso di un omicidio avvenuto a Nippur verso il 1850 a.C. (tra parentesi i tre assassini del dignitario Lu-Inanna furono condannati, mentre la moglie dell'ucciso, accusata di complicità per non aver denunciato il fatto, fu assolta).
Il saggio X ospita la prima farmacopea, ossia un ricettario medico dello scorcio del III millennio: da essa apprendiamo che il medico ricorreva a sostanze vegetali (cassia, mirto, fico, palma dattifera), minerali (cloruro di sodio, ossia sale marino, e nitrato di potassio) e animali (latte, pelle di serpente, scudo di tartaruga). Ignote però le malattie per cui erano previste tali prescrizioni.
Il saggio XI illustra il primo "Almanacco del fattore", ossia una serie di istruzioni rivolte da un agricoltore al proprio figlio riguardo alle attività agricole e all'irrigazione dei campi. Il documento (di 108 righe) è databile al 1700 a.C. circa, e precede perciò di un millennio Le opere e i giorni di Esiodo, la più famosa opera del genere in ambito greco.
Il saggio XII è un primo esempio di orticoltura, attraverso un poemetto intitolato Inanna e Shukallituda o il peccato mortale del giardiniere, che tratta di un agricoltore che studia i segni del cielo e pianta una serie di alberi per proteggere il suo giardino, ma finisce poi per approfittarsi della dea Inanna, venuta a riposare all'ombra dei suoi alberi.
Il saggio XIII illustra la prima forma di cosmologia sorta presso il popolo di Sumer: per essi l'universo visibile era una semisfera, con il cielo (An), l'elemento maschile, che copriva la terra (Ki), l'elemento femminile. Quest'ultima era immaginata come un disco piatto circondato dal mare (Abzu), e sotto di essa, in una specie di secondo emisfero opposto al cielo, erano localizzati gli inferi (Kur); l'aria separava il cielo dalla terra, ed era chiamata lil, frutto dell'unione dei due elementi; tutta il complesso cielo-terra infine (An-Ki) galleggiava in un oceano primordiale di acqua, probabilmente esistente ab eterno. Gli dèi sono chiamati dingir, e sono essi a creare l'uomo tramite il potere creatore della parola divina; gli dèi sono in tutto uguali agli uomini (mangiano, bevono, dormono, hanno debolezze, potevano essere feriti e addirittura uccisi), ma rispetto agli uomini amano la giustizia e la verità. Il dio principale del pantheon sumerico era, almeno agli inizi, il dio del cielo An, venerato particolarmente ad Uruk; ma il suo ruolo perde progressivamente importanza a favore del dio dell'aria Enlil, che poi lo soppianta definitivamente come divinità principale, assumendo il titolo di Re del cielo e della terra, e Padre di tutti gli dèi. Al terzo posto seguiva Enki, dio del mare (Abzu), oltre che della saggezza. Fra le divinità femminili, Inanna (l'Ishtar dei babilonesi), dea dell'amore, era la principale; Ereshkigal, sorella di Inanna, aveva il dominio del Kur, l'aldilà dei sumeri.
Iscrizione sumerica su pietra
Il saggio XIV discute il primo ideale morale dell'umanità. I Sumeri avevano una visione pessimistica dell'uomo e del suo destino: l'uomo, plasmato di argilla, è il servitore degli dèi, cui deve procurare cibo e dimore. La vita è incerta, essendo il destino assegnato dal volere imperscrutabile degli dèi. La vita sulla terra è tutto: dopo la morte l'uomo diventa un'ombra, che vaga nel buio e nelle tenebre, rimpiangendo la vita terrena. La morte è quindi il destino ineluttabile dell'uomo; solo gli dèi sono immortali. Gli dèi sono liberi, gli uomini, loro servi, no. I Sumeri, a confronto con le altre civiltà vicine (Assiri su tutti) erano sostanzialmente pacifici: apprezzavano la verità e la bontà, la giustizia e la compassione; i loro re si vantano di proteggere i deboli contro i forti, i poveri contro i ricchi, gli orfani e le vedove.
Il saggio XV  ospita la figura del primo "Giobbe", un testo dove il protagonista, un giusto sofferente, richiama immediatamente il Giobbe biblico: "Mio dio, il giorno brilla luminoso sulla terra; per me invece il giorno è nero. / Le lacrime, la tristezza, l'angoscia e la disperazione han preso dimora nel mio intimo. / Mio dio, o Tu che sei il padre che mi ha generato, risolleva il mio volto. / Per quanto tempo tu mi trascurerai, mi lascerai senza protezione?", queste alcune righe del brano. I Sumeri insegnavano che le sventure dell'uomo erano dovute ai suoi peccati, e che nessuno degli uomini è veramente innocente e privo di colpe. L'uomo pertanto si deve limitare a glorificare il suo dio, che prima o poi lo ascolterà benigno.
Il saggio XVI presenta la prima età dell'oro, prima cioè che l'umanità decadesse: "Una volta, ci fu un tempo in cui non c'erano serpenti, non c'erano scorpioni, / non c'erano iene, non c'erano leoni; / non c'era paura, né terrore; / l'uomo non aveva rivali. / [...] L'universo intero, i popoli all'unisono / rendevano omaggio a Enlil in una sola lingua". Il brano sembra indicare che anche i Sumeri, come gli Ebrei, credevano nell'esistenza di un linguaggio comune, prima della confusione delle lingue.
Il saggio XVII raccoglie i primi esempi di proverbi e motti, dodici raccolte in tutto, per un totale di circa 300 proverbi. "Uno dei caratteri specifici dei proverbi è la loro portata universale. Se per caso qualcuno è colto da dubbi circa la fraternità degli uomini e l'umanità comune a tutti i popoli e a tutte le razze, scorra gli adagi e i loro precetti: si rassicurerà. Più delle altre opere letterarie, queste trascendono le differenze di civiltà e di ambiente e svelano ciò che vi è di universale e permanente nella nostra natura" (p. 119). Questi sono due motti sul povero, e sui vantaggi dell'esserlo: "Per il povero è preferibile esser morto anziché vivo; / se ha il pane, non ha sale; / se ha sale, non ha pane; / se ha carne, non ha senape; / se ha senape, non ha carne"; e "Chi ha molto denaro è indubbiamente felice; / chi possiede molto orzo è indubbiamente felice; / ma solo chi non possiede nulla può dormire". L'ultimo è un proverbio sul valore della famiglia e dei legami familiari: "L'amicizia dura un giorno, / la parentela dura sempre".
Il saggio XVIII raccoglie i primi esempi di favole, 295 fra favole e proverbi con protagonisti 64 animali diversi. Il cane è l'animale più presente, seguito dal bue domestico e dall'asino; poi la volpe, il maiale, fino al leone e al lupo, mentre il gatto è pressoché ignorato dai Sumeri. Il cane è un ghiottone, il lupo rapace, la volpe vanesia, il maiale - diversamente dai Semiti - è un animale completamente commestibile, anzi è il primo fornitore di carne.
Il saggio XIX presenta le prime tenzoni poetiche della letteratura, in forma di contrasti fra due opposti elementi. Ne sopravvivono sette: l'Estate e l'Inverno, Inanna corteggiata, Il Grano e il Bestiame, l'Uccello e il Pesce, l'Albero e la Canna, il Rame e l'Argento, la Zappa e l'Aratro. Ogni componimento è preceduto da un'introduzione mitologica, cui segue la storia del contrasto, fino allo scioglimento finale.
Il saggio XX illustra il primo esempio di amor filiale, nel ritratto di una madre ideale tratteggiato da un certo Ludingirra di Nippur.
Il saggio XXI offre il primo esempio di poesia amorosa, con toni che ricordano molto da vicino il biblico Cantico dei Cantici (ma un millennio precedente): "Sposo, caro al mio cuore, / grande è la tua bellezza, dolce come il miele. / Leone, caro al mio cuore, / grande è la tua bellezza, dolce come il miele. / Tu mi hai avvinta, lascia che io resti tremante davanti a te: / sposo, vorrei essere condotta da te nella camera". In effetti tali esempi sono molto rari nella poesia sumerica, che alla poesia lirica preferisce piuttosto i poemetti narrativi o al massimo gli inni religiosi.
Statua in diorite di Gudea di Lagash (2150-2125 a.C.)
(New York, Metropolitan Museum)
Il saggio XXII presenta una prima descrizione del Paradiso (che, attraverso i Cananei, passando dai Babilonesi e dagli Assiri, influenzerà profondamente la Bibbia), tratto dal poemetto Enki e Ninhursag, costituito da 278 righe su una tavoletta all'University Museum di Filadelfia. Il paese, puro, netto e risplendente, dove non c'è morte né malattia, il paese dei viventi, è collocato in una regione chiamata Dilmun, probabilmente nel sud-ovest della Persia (attuale Iran), che poi coincide coll'Eden ebraico: "a Dilmun il corvo non getta il suo grido, / l'uccello-ittidu non getta il grido di uccello-ittidu, / il leone non uccide, / il lupo non s'impadronisce dell'agnello. / [...] Chi ha male agli occhi non dice: Ho male agli occhi; / Chi ha male alla testa non dice: Ho male alla testa; / La donna vecchia non dice: Sono una donna vecchia; / L'uomo vecchio non dice: Sono un uomo vecchio". Uno dei punti di contatto più stupefacenti fra racconto sumerico e episodio biblico è la generazione - secondo la tradizione ebraica - della donna da una costola di Adamo: nel brano sumerico "una delle parti malate di Enki è per l'appunto una costola. Ora, in sumerico costola si dice ti. La dea creata per guarire la costola di Enki è chiamata Ninti, 'la Signora della costola'. Ma la parola sumerica ti significa pure 'far vivere'. Gli scrittori sumeri, giocando sulle parole, giunsero a identificare la Signora della costola con la 'la Signora che fa vivere'. Questo calembour letterario, uno dei primi in ordine di tempo, passò nella Bibbia, dove perdette naturalmente il suo valore, poiché in ebraico i termini che significano costola e vita non hanno nulla in comune" (p. 150).
Il saggio XXIII illustra la figura del primo "Noè", l'eroe del diluvio universale sumerico, che porta il nome di Ziusudra (Utnapishtim nella versione assiro-babilonese), protagonista della tavoletta XI dell'Epopea di Gilgamesh, oltre che di un poemetto a parte dal titolo Atramhasis, 'il saggio dei saggi'.
Il saggio XXIV riporta i primi esempi di lamentazione su una città distrutta, sul genere del libro delle Lamentazioni della Bibbia. Il genere nasce per esprimere il dolore e la tristezza di fronte alle periodiche devastazioni subite dalle città e dai templi di Sumeri, e si concilia molto bene con la loro mentalità malinconica e pessimistica. Sopravvivono tre testi, di cui il primo, per la distruzione di Lagash, risalirebbe al XXIV secolo a.C.; mentre gli altri due (Lamentazione sulla distruzione di Sumer e Ur; e Lamentazione sulla distruzione di Nippur) sono di poco successivi.
Il saggio XXV riporta il primo esempio di simbolismo sessuale, tratto da alcuni poemetti narrativi, che celebrano la fecondazione della terra e la creazione dell'uomo.
Il saggio XXVI è la prima leggenda di resurrezione della storia, desunta dal poemetto La discesa di Inanna agli Inferi. La dea, per estendere il suo dominio anche al Kur, controllato da sua sorella Ereshkigal che vorrebbe spodestare, resta imprigionata nell'aldilà, uccisa e appesa a un gancio dai terribili Anunnaki, i sette Giudici degli Inferi; finché, dopo essere stata "risvegliata" da inviati del dio Enki, Inanna ritorna sulla terra ma è costretta a lasciare il suo posto agli Inferi allo sposo, il pastore Dumuzi (il Tammuz della Bibbia).
Nel saggio XXVII si presenta il primo "San Giorgio", ossia il primo eroe (Gilgamesh) che uccide un drago (il mostro Humbaba) nel poemetto narrativo Gilgamesh e il paese dei viventi.
Nel saggio XXVIII si illustrano tutti i precedenti sumerici della famosa Epopea di Gilgamesh, sistemata in forma canonica in età babilonese.
Nel saggio XXIX si sottolineano i caratteri comuni della prima età eroica dei Sumeri con altre simili, soprattutto del Medioevo ellenico e dei Germani, come si può evincere in una serie di poemetti narrativi incentrati su Enmerkar e le leggende di Lugalbanda.
Nel XXX e ultimo saggio si presentano infine i primi cataloghi di biblioteche della storia, risalenti al II millennio a.C. (ma molti altri sono certamente da trarre ancora alla luce). 
Il volume si presenta quindi come una straordinaria raccolta di testi antichi, i primi della storia letteraria dell'umanità, da cui l'innegabile interesse che debbono rivestire ai nostri occhi; consci che, secondo le parole di Kramer, si tratta de "i nostri più vecchi archivi: ecco che cosa propriamente rappresentano, con quelli dell'Egitto, questi testi di argilla tratti alla luce dalle sabbie mesopotamiche" (p. 145). 

Commenti

  1. Risposte
    1. Credo ahimè che sia fuori commercio. Può provare a recuperarne una copia di seconda mano su eBay, non vedo altre soluzioni.

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