Il Santuario di San Donato di Ripacandida (PZ)


Il Santuario di San Donato a Ripacandida (Potenza) è un piccolo (e misconosciuto) gioiello dell’arte pittorica lucana, i cui affreschi –articolati in Antico e Nuovo Testamento- sono definiti la “Bibbia di Ripacandida”: sebbene la loro datazione dovrebbe oscillare fra la fine del ‘400 e gli inizi del secolo successivo, per i temi degli stessi, oltre che per lo stile, rientrano senz’altro –come si vedrà- in un gusto tipicamente tardomedievale.
Della chiesa in sé è presto detto: prime notizie risalenti al 1152 (bolla di papa Eugenio III al vescovo della diocesi di Rapolla Ruggero); al 1325 è il passaggio della chiesa alle dirette dipendenze del papa, segno dell’importanza che ha assunto nel frattempo il santuario; mentre ai primi anni del ‘600 (precisamente al 1605) risalirebbe l’arrivo dei Minori Osservanti a Ripacandida e la costruzione del convento annesso al santuario. Da questo momento la storia del santuario si intreccia inestricabilmente con quella del movimento francescano: i frati vi restano fino al XIX secolo, quando, a seguito delle Soppressioni post-unitarie, vengono scacciati; ma dal 1894 il convento e annesso santuario è affidato alle Suore francescane di Gesù Bambino che tuttora lo custodiscono. La presenza dei frati (e poi delle suore) francescani, e soprattutto l’esistenza fra gli affreschi della chiesa di un capolavoro quale San Francesco che riceve le Stimmate ha portato nel 2004 al gemellaggio del santuario con la Basilica di San Francesco di Assisi, da cui ha ricevuto in dono, fra l’altro, una reliquia del corpo del poverello. Recente è la realizzazione di un "Giardino di San Francesco" con tassi, sequoie, e soprattutto un tiglio e un pino di Aleppo, vecchio di oltre tre secoli. Tutto ciò ha fatto sì che Ripacandida meritasse l’appellativo di “Piccola Assisi lucana”.
La facciata della chiesa è semplice e disadorna, con un campanile a due livelli, navata unica, tre campate con volte a crociera rialzata (unico esempio nella regione), capitelli elementari privi di orpelli, un abside settecentesco di dimensioni ridotte rispetto alle campate (probabilmente già ex presbiterio), sei altari laterali del ‘600 (di cui solo due sopravvivono); infine un bel coro seicentesco fatto dai frati, e un organo ligneo del 1735.

La cosa di gran lunga più importante del santuario è però la serie di affreschi che lo corredano (figura a), e in particolare (tolti gli interventi sull’arcone ogivale dell’altar maggiore, anch’essi settecenteschi, di mano di Pietro di Giampietro da Brienza):
1) Antico Testamento: Ciclo della Genesi (seconda e terza campata sinistra e destra), con quattro storie: Creazione del mondo, Storia di Caino e Abele, Storie di Noè e del Diluvio universale, Storie della Genesi. La mano è quella di Nicola da Novi, probabilmente Novi Velia (Salerno), al quale si attribuiscono un Cristo in Pietà e una Eva impudica, datati 1513, nel Chiostro dei Frati Minori a Senise.
2) Nuovo Testamento: Ciclo Cristologico (prima campata sinistra), con le storie della vita di Gesù. La mano è quella di Antonello Palumbo di Chiaromonte sul Sinni a cui si deve una Madonna in Maestà nella Chiesa di San Francesco di Pietrapertosa, datata 1498.
3) Ciclo escatologico: Inferno e Trionfo della Morte (prima campata destra e relativo pilastro), Paradiso e Giudizio Universale (prima campata sinistra).
4) Ciclo dei Santi (su più livelli), dovuto anch’esso a Nicola da Novi, ma in un secondo intervento, presumibilmente degli inizi del terzo decennio del ‘500.
Dei tre il Ciclo della Genesi è senz’altro il meglio conservato e il più riuscito da un punto di vista artistico. La prima storia è dedicata alla Creazione del mondo con dodici pannelli: 1. Dio separa la luce dalle tenebre; 2. Dio crea la Terra; 3. Dio crea il Sole e la Luna; 4. Dio crea gli uccelli e i pesci; 5. Dio crea le bestie selvatiche; 6. Dio crea Adamo; 7. Dio crea Eva; 8. Il peccato originale; 9. Dio rimprovera Adamo ed Eva; 10. La cacciata dall’Eden; 11. Il lavoro di Adamo ed Eva; 12. Le sofferenze dei progenitori.
In essi troviamo innanzitutto la rappresentazione diretta della figura di Dio Padre, sotto forma di vecchio dalla barba e dai lunghi capelli bianchi, con una tunica bianca e rossa e l’aureola intorno al capo. Nel primo pannello (figura 1) Dio è rappresentato in atto benedicente con le tre dita della mano sinistra a indicare la Trinità; il sole alla sua destra e la luna alla sinistra rappresentano rispettivamente la luce e le tenebre, mentre la colomba bianca in basso è lo Spirito (Santo) che, secondo il dettato della Genesi, aleggia sulle acque del caos primordiale. Nel secondo pannello (figura 2Dio è il grande architetto dell’universo che, alla presenza degli angeli, traccia i confini della terra con un compasso; la cosa interessante è che quest’ultima, secondo la visione tolemaica, è rappresentata piatta, che galleggia sulle acque e con i cerchi dei cieli che la circondano. Nel terzo pannello Dio è racchiuso nella mandorla mistica, simbolo di perfezione, mentre il sole e la luna hanno caratteri antropomorfi (viso umano). Nel quarto e quinto pannello (figura 3spicca il carattere naturalistico delle scene, con la grande varietà degli uccelli e degli animali rappresentati, tutti rivolti con lo sguardo a Dio per riceverne la benedizione. I capolavori di questa prima storia sono però i dipinti dedicati alle storie di Adamo ed Eva. In Dio crea Adamo (figura 4) si può notare il soffio vitale che parte dalla mano di Dio verso l’uomo, prono a riceverlo; mentre il leone in alto allude alla condizione primigenia dell’uomo quando viveva in pace con le fiere e gli animali selvaggi; il particolare delle foglie che ricoprono le nudità del primo uomo è stato invece probabilmente aggiunto in un secondo momento. Bellissimo il pannello Dio crea Eva (figura 5): Dio è qui rappresentato come una levatrice, che, con volto sereno, tende le sue mani a quelle della donna, e la estrae letteralmente dal costato di Adamo addormentato; alle spalle di Dio però, fa capolino la presenza inquietante di Satana, qui (e altrove) rappresentato come un serpente con faccia di donna. Ne Il peccato originale (figura 6) molto bella è la rappresentazione del Giardino dell’Eden con gli alberi carichi di frutti e l’albero della vita, intorno al cui tronco è attorcigliato, anche qui come serpente con viso di donna, il grande tentatore. Nella Cacciata dall’Eden spiccano i particolari della casa, da cui i progenitori sono scacciati, e dalle guardie che li allontano: entrambi, casa e guardie, sono rappresentati secondo l’uso e il vestiario dell’epoca di realizzazione del dipinto.
La seconda storia del Ciclo della Genesi è dedicata alla Storia di Caino e Abele, tre soli pannelli in tutto: 1. Le offerte di Caino e Abele; 2. L’uccisione di Abele (figura 7); 3. Dio rimprovera Caino (figura 8). Quest’ultimo è il più interessante dal punto di vista artistico: si notano in particolare il paesaggio roccioso, aspro e grigio, con tre alberelli sullo sfondo e qualche pianticella, un cane alle spalle di Caino e il cielo blu sullo sfondo; Dio irrompe attraverso uno squarcio nella nuvola, con l’indice della mano destra puntato, in gesto di rimprovero, contro Caino, che imbraccia ancora il bastone usato per l’uccisione del fratello. Ne L’uccisione di Abele, invece, singolare (e forse aggiunto in seguito) è il particolare dell’anima di Abele che si distacca dal corpo riverso a terra e privo di vita.
Le Storie di Noè e del Diluvio universale occupano cinque pannelli: 1. Costruzione dell’arca (figura 9); 2. Ingresso nell’arca (figura 10); 3. Il Diluvio (figura 11); 4. La fine del Diluvio; 5. L’uscita dall’arca. La bellezza dei pannelli è tutta nei minuti particolari realistici: carpentieri e maestri d’ascia con i rispettivi strumenti di lavoro, il carro trainato da buoi per il trasporto del legname, il pentolone sullo sfondo in cui bolle la pece per cospargere lo scafo, la varietà degli animali (bestie selvatiche e uccelli) che entrano nell’arca, e che costuiscono quasi un piccolo bestiario medievale (c’è la donnola, l’unicorno, il cervo, il ghepardo...). Molto bella, anche se in parte deteriorata, la rappresentazione della pioggia durante il Diluvio, e le acque agitate su cui galleggia l’arca, dentro cui affogano uomini e animali (figura 11). Da notare infine che l’arca è rappresentata negli affreschi come una vera e propria casa galleggiante.
Le Storie della Genesi sono incluse in 14 pannelli: 1-2. Costruzione della Torre di Babele (figura 12-13); 3. La distruzione di Sodoma (figura 14); 4. L’Angelo appare ad Abramo; 5. Il sacrificio di Isacco (figura 15); 6. Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco (figura 16); 7. Esaù chiede la benedizione ad Isacco; 8. Il sogno di Giacobbe e la lotta con l’Angelo (figura 17); 9. Giacobbe accolto da Labano; 10. Matrimonio di Giacobbe e Rachele; 11. Fuga di Giacobbe e riappacificazione con Esaù (figura 18); 12. Il sogno di Giuseppe (figura 19); 13. Giuseppe calato nel pozzo (figura 20); 14. Disperazione di Giacobbe per la morte di Giuseppe. Anche qui, come per le Storie di Noè colpisce il realismo delle scene: carpentieri e muratori, in abiti moderni, con i loro strumenti di lavoro (ad es. la carrucola o l’asticella di misura in mano all’aiutante del capomastro) ne La costruzione della Torre di Babele; i due servi con l’asinello, di cui il primo che mangia o suona qualcosa con la bocca, ne Il sacrificio di Isacco; o gli animali –pecore e cani- e le pianticelle ne L’Angelo appare ad Abramo e nella Fuga di Giacobbe e riappacificazione con Esaù, dove nel complesso è però molto bella
la scena corale con le mogli di Giacobbe e il seguito, e in basso il gregge sorvegliato da pastori e da un suonatore di zampogna. Particolarmente belli sono anche i pannelli dedicati alle storie di Giacobbe e di Giuseppe. In particolare in Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco Isacco è adagiato nel letto con una trapunta rossa e il cuscino alle spalle, ed accoglie Giacobbe in ginocchio; mentre fuori dal primo piano Rebecca si affaccia dalla porta, appoggiandosi a un pilastro, e Esaù sullo sfondo è a caccia in abiti tipicamente medievali (arco, berretto e calzamaglia verdi).
Molto meno conservato è il Ciclo Cristologico con le storie relative alla vita di Gesù, costituito in tutto da 10 pannelli (più due pilastri): 1. Annunciazione (figura 21); 2. La visita a Santa Elisabetta (figura 22); 3. La Natività; 4. I re Magi; 5. La strage degli innocenti (figura 23); 6. La presentazione al Tempio; 7. Gesù fra i dottori; 8. L’incontro di Emmaus (figura 24); 9-10. Scene della Passione di Gesù Cristo che rappresentano l’Ultima Cena, L’arresto di Gesù, Gesù davanti al Sinedrio e la Flagellazione. Sui due pilastri a destra e a sinistra della controfacciata completano il ciclo Gesù risorto e Il sepolcro vuoto. I pannelli 3 e 4 sono molto rovinati e praticamente illeggibili; così come quelli con le scene della Passione che continuavano (ma restano solo frammenti qua e là) sull’intera controfacciata.
Completa la serie pittorica biblica del santuario il Ciclo escatologico con due pannelli. Il primo, molto danneggiato, a destra, è dedicato all’Inferno (figure 25-25b), la cui rappresentazione è di chiara ispirazione dantesca: troneggia in alto la città di Dite, con mura e torri merlate (cfr. Inf. VIII 64 e sgg.); segue un quadro caotico in cui emerge un mostro a sette teste, in basso a sinistra, quindi Lucifero con tre volti e tre bocche in cui mastica tre peccatori (Giuda, Bruto e Cassio: cfr. Inf. XXXIV,16-67), e demoni che tormentano peccatori. Interessanti didascalie indicano il nome del diavolo di turno o la pena da eseguire. Sul pilastro della stessa campata compare un Trionfo della Morte (figure 26-26b): un corpo scheletrico, armato di una lunga falce che esorbita dai confini del riquadro, con ai suoi piedi accatastate le teste mozzate di personaggi di ogni ceto sociale: si distinguono in particolare delle figure legate alla Chiesa, e nella fattispecie un papa, un cardinale e un vescovo; una didascalia posta sulla sinistra recita: “Io son la Morte crudele”; e una seconda più in alto ai piedi di una Sibilla: “L’omo vole essere forte contra la Morte”. Il Paradiso e Il Giudizio Universale, anch’esso estremamente rovinato e in molti punti pressoché illeggibile, è posto sulla parete opposta all’Inferno: si distinguono un Cristo giudicante in trono, la schiera degli angeli che cantano e suonano innumerevoli strumenti musicali, San Pietro che accompagna un’anima alla porta del Paradiso, un Angelo che veste tre anime nude con una bianca tunica; i salvati (figura 27), e, in basso, una piccola schiera di demoni che attende i reprobi.
Il Ciclo dei Santi è così articolato:  a) Storie di Antonio abate e Paolo eremita (seconda campata destra); b) San Francesco fra i santi e le sante francescane e Pietà (terza campata sinistra); c) su pilastri: San Francesco che riceve le Stimmate, quindi i santi Bonaventura, Lorenzo, Giovanni Battista, Onofrio, Biagio, Nicola, Stefano, Lucia, Bernardino da Siena, Ludovico, Antonio da Padova; infine San Tommaso e San Domenico. Questi ultimi sono i dipinti meglio conservati: San Domenico è con l’abito dell’ordine, il giglio nella mano destra e un libro nella sinistra (figura 29); mentre San Tommaso predica ex cathedra il concetto della Trinità (cui allude con le dita della mano sinistra: figura 30). I capolavori del ciclo sono però San Francesco che riceve le Stimmate (figura 28), i frammenti delle Storie di Antonio abate e Paolo eremita, oltre a una Pietà, anch’essa però gravemente frammentaria. Il primo è certamente il dipinto più famoso del Santuario, tale anche da aver autorizzato il gemellaggio con la Basilica di San Francesco di Assisi. Non è infatti escluso che il frescante di Ripacandida possa essersi direttamente ispirato al più celebre modello giottesco: i tratti somatici del volto del poverello, le vesti e i panneggi color marrone che spiccano sul grigio del rude paesaggio roccioso, su cui appaiono soltanto qualche alberello, una piccola chiesetta incastonata nelle rocce e la minuta figura di frate Leone chino in preghiera sul Vangelo, e da ultimo il Cristo che balugina nel corpo fiammeggiante di serafino nel fondo blu del cielo; tutto ciò non può che ricordare il precedente giottesco. Splendidi, infine, i particolari di stampo naturalistico (cielo, rocce, i piccoli personaggi ben caratterizzati) presenti nei frammenti delle Storie di Antonio abate e Paolo eremita (figure 31-32); mentre della Pietà è splendido il volto di Maria, candido e con i lunghi capelli biondi, avvolta in un morbido mantello azzurro con il Cristo (di cui si vede solo la testa) adagiato sul grembo (figura 33).
In linee generali, nonostante la datazione recente, è indubbio il carattere arcaico dei dipinti, decisamente medievale o meglio tardomedievale. Innanzitutto da un punto di vista contenutistico sono da rimarcare come tipicamente medievali la rappresentazione dell’Inferno, con Lucifero e demoni cornuti che tormentano i peccatori; o il Trionfo della Morte come scheletro con tanto di falce che miete vittime di ogni ceto e stato sociale. Si aggiungano le caratterizzazioni medievali di figure e personaggi rappresentati: ne La distruzione di Sodoma, ad esempio, la città è rappresentata come un castello medievale in fiamme, così come Gerusalemme ne L’incontro di Emmaus è una città medievale con tanto di Torre di vedetta merlata; e ancora la casa con tanto di finestre e di bifore nella scena de La visita a Santa Elisabetta; costumi tipicamente medievali sono invece quelli di Esaù ne Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco (arco, berretto e calzamaglia verdi) o quelli dei sicari di Giuda ne La strage degli innocenti (berretti e calzamaglie bicolori bianche e rosse). Dal punto di vista formale, infine, sono altamente significativi e di gusto arcaico l’assenza dell’uso della prospettiva e la realizzazione delle figure in dimensioni alterate e sproporzionate a seconda dell’importanza del personaggio rappresentato sulla scena (Noè nella scena della costruzione dell’arca, o il capomastro in quella della Torre di Babele). Tutto ciò si può spiegare presumibilmente con l’arretratezza e l’isolamento –geografico più che culturale- del sito di Ripacandida, decisamente lontano dai grandi centri culturalmente all’avanguardia; né si può escludere, inoltre, una voluta moda arcaizzante improntata alla semplicità e alla chiarezza del messaggio iconografico, destinato a un pubblico semplice e ignorante, quale poteva essere la popolazione di un piccolo centro della Basilicata fra XV e XVI secolo.


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